mercoledì 4 febbraio 2009

Giorgio Lamberti e Tanya Vannini: il mondo nella vasca

Giorgio Lamberti e Tanya Vannini si raccontano. Ripercorrono il loro comune passato natatorio, analizzano il loro percorso di vita comune, progettano il futuro dei loro tre figli. Si sono conosciuti nel 1985 in Nazionale, ma hanno cominciato a frequentarsi solo nel 1989. Uniti in matrimonio nel 1998, crescono tre figli. Lui ha smesso per i continui problemi fisici alla spalla e alla schiena, lei per i contrasti con la sua società. Com’è iniziata la vostra avventura natatoria? Tanya: Volevo imparare a nuotare e i miei genitori non potevano insegnarmi. Per una maggiore sicurezza ho iniziato i corsi di nuoto. Solo allora hanno capito che avevo una certa predisposizione e successivamente mi hanno portato alla Rari Nantes Firenze. Il 23 marzo del 1999 cade il record del mondo di Giorgio Lamberti, il 24 dello stesso anno nasce il primogenito Matteo. Giorgio: Pensa il destino, si tratta di una coincidenza significativa: si è chiusa una parentesi di vita e se n’è aperta un’altra. Qualche rimpianto? Tanya: Non aver fatto le Olimpiadi. Ho smesso relativamente presto per problemi e contrasti con la società. Sono state comunque tutte esperienze positive. La fine relativamente precoce accomuna le vostre sorti… Giorgio: Lei ha smesso per motivi diversi..si sa anche nello sport ci sono giganti del pensiero. Io ho smesso per motivi fisici. Quella volta che Giorgio Lamberti ha tolto gli occhialini e ha detto basta... Giorgio: Quando sei abituato a competere a livello mondiale ma non sei più in una condizione fisica ottimale, di fatto ti accorgi che qualcosa ti impedisce di raggiungere le prestazioni. Viene a mancare quello stimolo per rimanere concentrato, per continuare ad allenarti e per dedicarti quotidianamente al sacrificio e al lavoro. Il nuoto è uno sport di grande sacrificio e difficoltà. Se sei a posto con te stesso, ti alleni con più convinzione. È assurdo andare dal fisioterapista per massaggi e terapie più volte la settimana per poter nuotare. Se i dolori, e la fatica diventano insopportabili, si prende il coraggio a quattro mani e si molla. In quel periodo (pasqua 1993, ndr), la società viveva un periodo di cambiamenti a livello dirigenziale e a livello tecnico. Mi allenavo agli ordini di Pietro Santi nella vecchia piscina di Mompiano. Stavo facendo delle ripetute, ma non ero più convinto e mi sono fermato in mezzo alla vasca: ho tolto gli occhialini, ho guardato Santi ed è bastato un cenno d’intesa per uscire dalla vasca. Era finita. La Federazione ha tentato di farmi rientrare, coinvolgendomi nel settembre del 1993 nell’organizzazione del Mondiale, ad un anno di distanza dai Campionati di Roma. Mi chiamarono e mi proposero due opzioni: entrare nell’ambito dirigenziale o recuperare dal punto di vista agonistico. La mia aspirazione era di rimanere a contatto con l’ambiente sportivo. Tentarono di rimettermi in forma attraverso delle terapie al centro di Medicina dell’Aquacetosa: a 24 anni sapevo che avrei potuto dare ancora molto, ma gli acciacchi alla spalle e alla schiena me lo impedivano. Per tre mesi mi allenai in gran segreto nella piscina ergometrica. Oltre al fatto di non percepire i benefici, mi ero reso conto che di testa avevo chiuso. Quando un campione dello sport perde le motivazioni, non c’è più niente da fare. Subentrano altre prospettive. Volevo però che rimanesse un buon ricordo, ho chiuso questa parentesi sportiva e mi sono dedicato ad altro. Senza rimpianti. Chiusa questa esperienza, avete continuato la vostra vita a contatto con il mondo natatorio? Tanya: Sì, a Borgo San Lorenzo facevamo insieme degli stage estivi di nuoto per i bambini dai 6 ai 14 anni. Per quattro anni ho fatto l’istruttrice per i bambini, poi per due anni ho allenato la Leonessa Brescia. Dalla Toscana a Brescia, un passaggio traumatico… Tanya: Abbastanza, ma mi sono adattata. Mi ha pesato la mancanza della famiglia… La vostra storia aveva creato problemi a bordo vasca o erano altri tempi rispetto a quelli del 2000 (vedi la vicenda Marin e Manaudou)? Giorgio: Inizialmente no, poi ci hanno dato qualche fastidio perché pensavano che potessimo perdere la concentrazione. Se due atleti sono seri e hanno i loro obiettivi non si fanno condizionare. Nel nuoto ti alleni 4/5 ore al giorno solo se trovi la molla interiore per tentare di raggiungere la meta prefissata. C’era una sorta di rivalità fra voi due? Giorgio: No, assolutamente. Le invidie ci sono state all’interno della squadra azzurra. Chi era abituato a vincere guardava con ostilità la mia esplosione. Quali vittorie sono indelebili nella vostra memoria? Tanya: Io, paradossalmente, mi ricordo con grande piacere un sesto posto, per come era maturato. Arrivai sesta e andai sotto i 2 minuti nei 200 stile, un risultato che avevo inseguito molto. E pensare che quella gara la feci per caso. Ero al Festival Arena di Bonn nel febbraio 1987, una sorta di Campionato del Mondo in vasca corta (25 metri). Andai ad assistere alla finale dei 200 stile perché ero quasi sicura di non essermi qualificata, invece...ero in finale. In fretta e furia mi fiondai sui blocchi e arrivai sesta. Giorgio: A Bonn nel 1989 firmai il record del mondo sui 200 stile libero. La vittoria più difficile e faticosa fu, però, quella ai Mondiali di 2 anni dopo a Perth: fu una vittoria di carattere e di testa, dovevo reggere le pressioni e i problemi fisici. Sono due soddisfazioni diverse Ai Mondiali di Bonn si racconta di un foglietto... Giorgio: Ero in una condizione strepitosa, sicuro di vincere. Mi trovavo in camera con Antonio Consiglio che mi fece scrivere su un foglio i passaggi dei 50, 100, 150 e 200. Li azzeccai e feci il primato del mondo sui 200 stile libero (1’46’’69). Cosa si prova ad essere il primo al mondo? Giorgio: Quando lo realizzi non hai la percezione di quello che stai facendo. Arrivi a quel livello gradualmente. Se in condizione fisica, vincere per un atleta diventa naturale: vivi con soddisfazione il record, ma con una certa normalità perché è il frutto di anni di allenamento e di lenti miglioramenti. Solo con il passare degli anni prende forma il valore di quello che hai fatto. Quando vinci sono tutti con te, quando perdi… Giorgio: Beh ricordo l’anno delle Olimpiadi del 1988, la stampa specializzata colpì tutti gli atleti: in particolare mi diedero dello psicolabile a nove colonne sul primo quotidiano italiano. Fu un momento spiacevole non solo per me, ma anche per la Federazione e per il tecnico Alberto Castagnetti che tutt’ora dopo 20 anni è ancora C.t. della nazionale. L’anno dopo, tanto per smentire i miei detrattori, feci il record del mondo. Da quale pozzo bisogna attingere in questi casi? Giorgio: Conta la consapevolezza nei propri mezzi. Ognuno sa cosa può offrire. Nel nuoto non ci sono appelli, è il cronometro che parla. L’atleta vive in simbiosi con il proprio tecnico e con lui ha la convinzione di poter raggiungere determinanti risultati. Il nuoto vive le criticità degli altri sport? Giorgio: Il nuoto in 20 anni è cresciuto in modo esponenziale. Cresce per molteplici motivi: sono aumentati gli impianti e la Federazione con tutti i suoi difetti ha scelto l’indirizzo della qualità e della formazione. In Italia abbiamo istruttori preparati. I risultati si vedono. Il nuoto è nei primi tre sport per diffusione: oltre 5 milioni di abitanti si rivolgono alle piscine. Questa tendenza crescerà ancora: si sta generando la cultura dell’acqua del benessere psicofisico. Brescia e la Provincia per numero di impianti e per i risultati sono un esempio su questo versante. Il nuoto è uno sport di fatica. Dai 15 ai 17 anni si forma la struttura di un’atleta. Si parla di allenamenti (mattina e sera) quotidiani. In alcuni sport ben più pubblicizzati, due sedute a settimana sono sufficienti. Quali difficoltà avete incontrato da giovani, soprattutto a scuola? Tanya: A scuola non ti aiutavano. In classe ti facevano pesare l’impegno sportivo. A 14 anni ho iniziato un ritmo massacrante: allenamento dalle 6 alle 7.30, scuola e ancora allenamento dalle 14.30 alle 17. Se consiglio questo approccio? Solo se c’è la passione. Giorgio: A scuola era un calvario. Siamo in un paese arretrato. Uno sportivo dovrebbe seguire un percorso parallelo e sereno... siamo a livelli da preistoria sportiva. Ci riempiamo la bocca di attenzione all’attività motoria, ma poi... L’attenzione degli insegnanti dipende molto dal comportamento dei singoli più che da una logica di sistema. Nel 1988 dovevo affrontare le Olimpiadi e la maturità, il preside del “Tartaglia” mi permise fra mille ostilità di frequentare da gennaio a giugno il corso serale. Non essendo un lavoratore ero considerato clandestino. Il dramma era non addormentarsi in classe dopo una giornata in acqua. A scuola, comunque, mi sono sempre difeso bene. Cosa vi ha lasciato l’esperienza sportiva? Tanya: Mi ha permesso di viaggiare e di divertirmi in gruppo. Mi ha dato l’opportunità di vedere il mondo. Giorgio: Ho fatto molte esperienze e ho conosciuto altre culture, cosa che un tempo era impossibile. Il nuoto, inoltre, mi ha aiutato a saper reggere le tensioni e i ritmi nei momenti di criticità. Non è da tutti vivere la tensione di un campionato del mondo, essere all’addetto ai concorrenti e aspettare nella stanza della chiamata. Senza dubbio sono aspetti che fanno crescere. Devi vivere questi momenti con grande serenità: devi competere ma devi avere anche la gioia di vivere una cosa straordinaria. .Le emozioni, l’adrenalina che sale. Poi questi aspetti ritornano nella vita di ogni giorno. Al di là della competizione, in ogni sfida che si affronta c’è questa ricerca di risoluzione di un problema. Lo sport aiuta al confronto. Essere buoni genitori…Com’è stato il rapporto con i vostri genitori, quale merito hanno avuto? Tanya: I miei genitori mi hanno accompagnato a destra e a sinistra. Ogni mattina alle 5,30 mio papà mi portava all’allenamento. Era il mio primo tifoso. Eravamo in tre da accudire. Giorgio: . Per il mio carattere non ho mai voluto i miei genitori al seguito: infatti ho molte cassette registrate da mia mamma che mi seguiva da casa. Lo sport è un impegno. Non tutti sono disposti a sacrificare il proprio tempo. Anche questo deve essere fatto con convinzione. Il compito educativo è sulle spalle di Tanya. Pubblicato su "La Voce del Popolo", settimanale diocesano di Brescia

Nessun commento:

Posta un commento