domenica 8 marzo 2009

Luciano Moggi: io, la Juve e Mourinho

Questa settimana è stata segnata dalle polemiche sulla conferenza stampa di Mourinho. Come ha letto lo sfogo del tecnico portoghese? Come uno che ha paura di perdere il campionato. Alla fine la squadra vincerà perché è superiore alle altre. Questo testimonia come è fatto il calcio: esistono delle guerre tra le società che non hanno nulla a che vedere con gli arbitri. Nessun arbitro viene comprato. Alle squadre forti arrivano i favori senza essere richiesti. Sono spontanei. Il più forte resta sempre il più forte. L’atteggiamento di oggi è diverso da quelle di ieri? Prima all’Inter si utilizzava Telecom, adesso le polemiche escono spontaneamente. Poi guarda caso la Juve va a Roma contro la Lazio e nell’incertezza gli annullano un gol. La reazione della dirigenza bianconera è stata un po’ soft? I dirigenti della Juve stanno zitti perché sono simpatici ed educati. Stanno zitti e diventano simpatici, così nel frattempo l’Inter vince e diventa una squadra antipatica a tutti. Nel frattempo si torna in campo. Come vede il derby della Mole? I derby sfuggono a ogni pronostico. La Juve è sulle gambe: in due settimane ha giocato ogni tre giorni. Ha giocato mercoledì a Londra, il sabato con il Napoli, il martedì con la Lazio e sabato riceve il Torino. Le altre hanno giocato di mercoledì e di domenica. Questa scelta non mi sembra molto regolare. La Coppa Italia, inoltre, poteva essere rimandata. Non c’era nessuna urgenza visto che la gara di ritorno verrà fatta tra quasi due mesi. La Juve posso dire che è stata penalizzata in tutto, pure nel calendario. Di più non si può. Mi sento in dovere di difendere la Juve perché sono affezionato ai suoi colori. Cairo ha investito molto, ma non ha ancora raccolto i risultati Evidentemente non ha investito bene. Cairo è appassionato, sta facendo il possibile. Ha perso il vizio di fare tutto da solo: ha preso un direttore sportivo come Foschi e un allenatore che sa di calcio come Novellino. Stanno cercando di risollevarsi e mi sembra che ci stiano riuscendo. Sabato la partita sarà complicata. La Juve gioca dopo il match di Marassi. Il Genoa può fermare la capolista? L’Inter al di là del 3 a 0 con la Samp è la più forte di tutti. Non penso che trovi dei problemi a superare il Genoa. E l’arbitro? Quale sarà il suo stato d’animo? L’arbitro sarà molto condizionato. Tutti vanno in campo con problemi psicologici. L’Inter sta provando oggi qualcosa di cui un tempo accusava la Juve. Bisogna essere forti anche in questo. E quando dicevo che mi difendevo...
Articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net

giovedì 5 marzo 2009

Rizzitelli: sua la firma nell'ultimo successo granata nel derby

Si avvicina il derby della Mole. L’ultima vittoria in casa del Torino con la Juve risale al 25 gennaio 1995. Il mattatore fu un certo Ruggiero Rizzitelli che mise a segno due gol e un assist per il 3 a 2 finale sulla Juve. In quell’anno il Toro s’impose in entrambi i derby con i tifosi che escogitarono una nuova via dedicata a Rizzitelli. Sei stagioni alla Roma prima di passare al Torino, un ambiente nel quale ha trovato lo stesso tifo della capitale e soprattutto ha conosciuto lo spirito del Toro. Rizzitelli in questa intervista concessa in esclusiva a ilsussidiario.net parla anche di arbitri e di una sudditanza psicologica che è sempre esistita. Nel derby solitamente il risultato sfugge ad ogni pronostico. Anche a Torino? Purtroppo a Torino sembra che questa regola non sia quasi mai rispettata. Da quattordici anni è la stessa musica. Non si vedono le vittorie del Toro. Che spiegazione s’è dato? I fattori sono molti. C’è da dire che la Juve ha potuto contare su dei mezzi superiori. Il Torino con l’arrivo di Cairo ha sempre allestito delle squadre che potenzialmente potevano lottare per un posto in Uefa. In questi anni ha avuto troppi alti e bassi. Cosa manca? Manca lo spirito, il cuore granata. Si può spiegare meglio? I tifosi vogliono che i giocatori escano dal campo con la maglia sudata. Cosa si ricorda dell’ultima vittoria casalinga (25 gennaio 1995), targata proprio Rizzitelli, del Toro in un derby? Mi ricordo tutto. Fu una gara tirata fino alla fine: feci due gol e il colpo di tacco che portò Angloma alla rete del 3 a 2 finale. Il derby è un’emozione unica, è molto vissuto (quasi come la conquista di un campionato). In quell’anno, inoltre, vincemmo entrambi i derby. Quali sono state le emozioni indelebili del periodo piemontese? Quando sono tornato a Orbassano ho trovato una nuova via. Quale? Via Ruggiero n° 4, 4 come i gol fatti alla Juve. Torino è nel cuore di Rizzitelli? Quando scelsi il Toro avevo qualche dubbio. Avevo lasciato Roma perché avevo avuto alcuni problemi con l’allenatore. Fui consigliato dal mio procuratore Bonetto. Cercavo tifosi con la passione: ho trovato la stessa passione e lo stesso tifo di Roma. Sono stato abituato a non mollare mai, a lottare palla su palla. Lei ha giocato in piazze importanti e in quelle cosiddette provinciali. Esiste la sudditanza psicologica? Esiste. In certe piazze importanti come Roma, Torino o Monaco si sente la differenza. Quando protestavo gli arbitri facevano finta di non sentirmi; l’ultimo anno a Piacenza, invece, qualche arbitro mi puniva per quello che avevo detto quando giocavo nella Roma o nel Torino. Il problema è dato dal sistema. Un bambino quando inizia a giocare sogna di poter giocare nelle squadre più blasonate. Lo stesso si può dire dell’arbitro che come obiettivo quello di arbitrare le grandi partite. Il problema è oggettivo. Allo stato attuale le grandi squadri possono permettersi di rifiutare l’arbitro. Un pronostico finale per il derby della Mole? Il desiderio è quello di non ritrovarmi ancora una settimana al telefono a rilasciare interviste. Se il Toro vince non si parla più, finalmente, della sfida del 1995. Articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net

venerdì 13 febbraio 2009

Zaccheroni: Inter, fai attenzione al Milan

L’Inter deve stare attenta al Milan: in un’ipotetica volata finale per lo scudetto i rossoneri potrebbero avere la meglio. Gli uomini di Mourinho se non ritrovano il gioco in Europa potrebbero fare fatica. Alberto Zaccheroni traccia per il sussidiario.net un bilancio del campionato, assegna la palma della squadra rivelazione al Genoa e del miglior giovane a Santon. Il gioco dell’Inter non decolla. Cambia qualcosa sul pronostico finale? La favorita rimane l’Inter, anche se non ha ancora ritrovato la continuità di gioco. L’Inter deve stare attenta al Milan, deve fare di tutto per non trovarselo allo sprint finale. Attenzione anche alla Juve che non molla facilmente. In un’altra occasione ci aveva confidato di non essere convinto dall’atteggiamento tattico di Mourinho Mourinho ha cambiato diverse volte il modulo, sul campo manca ancora il riscontro del gioco. Lo stesso Mourinho non è soddisfatto: vuole un gioco più fluido, più continuo. Qual è la squadra più forte? La Juve è la più organizzata sul piano del gioco, ma ha meno qualità. Dal punto di vista della qualità il Milan è superiore a tutti. C’è qualche squadra che per la disposizione in campo l’ha sorpresa in positivo? Mi piace lo spirito e l’atteggiamento di squadra del Genoa. Mi piaceva anche l’Udinese, ma poi non so cosa è successo. Eppure conosce bene l’ambiente di Udine Ho visto la prima sconfitta della serie a Milano con l’Inter. Ha raccolto poco, ma ha sempre offerto una prestazione di un certo livello. Dopo le grandi rimane, insieme al Genoa, la realtà che mi piace di più per mentalità e spirito di gioco. Anche il Cagliari sta facendo un buon campionato Allegri sta facendo quello che ha fatto Ballardini l’anno scorso. Sta facendo un grande campionato e sta andando oltre le previsioni. Il merito è anche dei giocatori: la costante di questi due anni sono loro. Le squadre, vedi Milan, Juve e Cagliari, che hanno avuto il coraggio di tenere gli allenatori durante il periodo di difficoltà si sono riprese. A proposito di allenatori, qualcuno l’aveva avvicinata alla panchina del Torino prima dell’arrivo di Novellino No, assolutamente. Mi ha contattato qualche squadra, ma preferisco non entrare in corsa. Fra i giocatori possiamo fare qualche nome che si è distinto in modo particolare? Fra i giovani mi ha sorpreso per fisicità e personalità Santon. Conoscevo ma non così bene Milito. Potrei aggiungere anche Pato, ma già all’esordio aveva dimostrato di possedere grandi numeri. D’Agostino sta facendo un ottimo campionato, sarebbe il giocatore ideale nel suo 4-3-3 Sì, D’Agostino è importante. Ci sono squadre, come il Torino, nelle quali i giocatori danno meno di quello che possono dare; altre, vedi l’Udinese, dove i giocatori riescono a fornire il loro contributo o anche a fare qualcosa in più. Il rendimento di un giocatore dipende molto dall’ambiente che si riesce a creare. Lo stesso Stankovic ad inizio stagione era sul piede di partenza, mentre oggi è indispensabile. Ci sono giocatori bravi che faticano a trovare spazio. Tipo? Almiron, ad esempio, è molto forte, ma fino ad oggi non ha incontrato situazioni favorevoli. La Fiorentina non riesce ancora a fare il salto di qualità Firenze è una piazza che toglie molte energie e che mette molta pressione. Ci vuole una certa maturità. I campioni si distinguono dai buoni giocatori per la personalità: il campione ha sempre una grande personalità, quella che gli permette di reggere le situazioni più difficili. Per quanto riguarda la Champions, come vede le italiane? Sarà importante arrivarci con le gambe buone. La Juve fa un po’ più fatica: il gruppo sta tirando la carretta da molto e, di conseguenza, alcuni giocatori sono stanchi. Sulla carta vedrei meglio l’Inter, ma al momento non ha trovato la fluidità nel gioco, una componente importante per fare strada in Europa. Articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net

mercoledì 11 febbraio 2009

Luciano Moggi: Vince sempre il migliore

In questa intervista l’ex re del mercato rilegge il campionato, applaude il Milan per la scelta di Beckam, si complimenta per la gestione di Balotelli, promuove l’Inter di Mancini rispetto a quella impacciata di Mourinho, assolve Ranieri dalle critiche, ma vede in Antonio Conte un futuro da predestinato sulla panchina bianconera. E per la Champions? Le italiane passano il turno. Inevitabile anche una riflessione sul sistema arbitrale con i direttori gara che sono portati ad avere una maggiore attenzione nei confronti delle grandi. «I campionati li determinano la forza delle squadre». E’ storia di ieri, è storia di oggi. Come dargli torto? La Juve sta accusando una flessione in un campionato nel quale l’Inter non si sta esprimendo al massimo. Può essere il Milan il vero favorito per la vittoria finale? Ad inizio campionato avevo detto che l’Inter era la favorita e il Milan sarebbe stato il suo principale antagonista. Adesso si sta prospettando questo scenario. L’arrivo di Beckham ha dato un impulso alla squadra, ha fatto acquisire una maggiore autostima. Beckham a gennaio come Davids alla sua Juve Sono due giocatori diversi. Davids completava un modello atletico, Beckham dà i tempi alla squadra. Entrambi forniscono un valore aggiunto e giustificano l’investimento economico. La Roma parte avvantaggiata nella rincorsa al quarto posto? La Roma si gioca il quarto posto con la Fiorentina. Sempre ad inizio campionato si diceva che le posizioni di vertice sarebbero state occupate nell’ordine da Inter, Milan, Juve, Roma e Fiorentina. Ecco perché mi viene da sorridere quando penso che è cambiato il vento. I campionati li determinano la forza delle squadre, la loro qualità e la fortuna (penso agli episodi favorevoli che si possono creare). Alla fine prevalgono sempre i più forti. Si avvicina la Champions. Un pronostico La Roma ha delle opportunità notevoli: l’Arsenal è sì una buona squadra, ma è composta da giovani. La Juve farà più fatica, ma penso che alla fine supererà il Chelsea. L’Inter è attesa dal compito più difficile, ma può passare il turno. Quanto può incidere la Champions sul campionato? L’Inter può superare l’handicap Champions perché ha una pletora di giocatori. La Juve e la Roma potrebbero essere più in difficoltà, perché alcuni di quelli che scendono in campo al mercoledì difficilmente possono essere impiegati alla domenica. Un suo allievo come Antonio Conte sta facendo bene a Bari, così come Gasperini al Genoa. Possono essere loro i prossimi allenatori della Juve? Sono allenatori giovani che si stanno mettendo in evidenza. Conte lo conosco bene: era già un allenatore in campo da giocatore. Ha personalità, ha tutti gli ingredienti per arrivare in una grande squadra. Per quanto riguarda la prospettiva futura sarebbe piacevole avere un allenatore nato in casa. Comunque trovo ingiustificate le critiche a Ranieri. L’ambiente bianconero non l’ha mai amato fino in fondo Ranieri La Juve è terza in campionato, ha superato il turno in Champions ed è in semifinale in Coppa Italia. Era difficile fare meglio di così. Sta facendo il massimo, ha spremuto i giocatori. La squadra oggi è un po’ seduta, ma rientra nella normalità accusare un momento di crisi. Da ex direttore generale come rilegge i molteplici infortuni occorsi alle squadre di vertice? Sono cose che capitano. Certo l’Inter, la Juve e la Roma hanno avuto un sacco di infortuni. Tutti mettono in crisi i medici, ma a questi livelli non ci sono medici poco bravi. Prendiamo il caso della Juve. Per fare i preliminari di Coppa ha anticipato la preparazione e questo significa avere la squadra in una posizione ottimale in un dato momento della stagione. Gli infortuni dipendono sempre da un mix di cause. Tralasciando i traumi, quelli muscolari dipendono da una rosa ristretta che costringe i giocatori a scendere in campo in continuazione: molti non sono in grado di giocare in una squadra di alto livello e altri sono infortunati. Anche l’Inter ha sofferto gli infortuni Sì, forse l’Inter ha sofferto di più gli infortunati. Sta esprimendo un gioco precario, si è visto con il Torino ma anche in altre circostanze non è stata all’altezza della sua rosa .Mi sembra, con tutto il rispetto di Mourinho, una squadra molto lontana da quella vista all’opera con Mancini. Alla fine vincerà il campionato perché ha qualcosa in più, questo non toglie però che con Mancini aveva più punti. E, partendo dalla sua esperienza, come si gestiscono giocatori come Balotelli? Balotelli è un ragazzino, non posso dire nulla perché non lo conosco. Il giocatore voleva andare via, ma l’Inter secondo me ha fatto una cosa buona; si è comportata come un padre, che a volte deve dare qualche sculacciata. Credo che questo comportamento faccia bene anche al giocatore. Se poi Balotelli fa ancora il guascone, allora l’Inter prenderà provvedimenti. Il futuro dirà chi ha avuto ragione. Balotelli sarà molto utile nelle partite di campionato. Da uomo mercato, c’è qualche giocatore sorpresa o che è migliorato a tal punto da consigliarne l’acquisto alle grandi compagini, magari alla Juve? Intanto la Juve e le altre squadre non hanno bisogno dei miei consigli. Probabilmente qualcuno ha peggiorato le sue prestazioni. Rosina, ad esempio, è considerato una stella, ma ha avuto qualche problema. Resta comunque un buon giocatore. I migliori restano sempre gli stessi: Del Piero, Totti nonostante gli infortuni e Maldini che anche a 40 anni dimostra tutto il suo valore. Dopo il processo di Roma che ha ridimensionato l’impianto accusatorio nei suoi confronti, molti di quelli che avevano preso le distanze sono saliti sul cosiddetto carro dei vincitori. Cosa ha pensato in quei frangenti? Niente, si fatica a pensare. Si va avanti per la strada giusta. C’è un vecchio proverbio che dice “non tener conto di nulla, guarda e passa”. Questo è stato ed è il mio atteggiamento. Il tabù arbitri non è, però, ancora superato. Della Valle, ad esempio, parla di un sistema che vuole danneggiare la Fiorentina Tutti hanno avuto l’ordine di dire che gli arbitri sono in buona fede. Io sono il primo a sostenerlo, ma lo sostenevo anche ai tempi della Juve. Il fatto stesso, però, che si ostinino a ripeterlo mi fa pensare che non ci credano del tutto, altrimenti perché dovrebbero mettere continuamente in evidenza la parola buona fede. E’ sbagliato pensare che un arbitro possa aiutare deliberatamente una squadra piuttosto che un’altra, ma è indubbio che sia portato a favorire la squadra più forte o meglio ad avere un’attenzione in più per i potenti: questo non significa che le squadre più forti cerchino i favori. Oggi come ieri. Alla Juve non si cercavano i favori. Gli episodi succedono in questo campionato, ma sono successi anche in quello scorso: non penso, infatti, che avesse torto la vedova Sensi quando ricordava i favori capitati all’Inter. Questo non toglie, però, nulla al fatto che l’Inter fosse la più forte. L'intervista è stata pubblicata su www.ilsussidiario.net

mercoledì 4 febbraio 2009

Calcio: il modello di scouting del Brescia

Sono molti i giocatori che, passando da Brescia, si sono guadagnati il palcoscenico degno dei migliori campioni. Il merito è senza dubbio di un progetto molto ambizioso che, nonostante le non illimitate risorse finanziarie del club lombardo, riesce a contagiare i giovani giocatori che si affacciano al grande calcio. Il Brescia non ha un palmarès che può competere con altre realtà, ma – come spesso accade – la differenza la fanno i rapporti umani. A Brescia possono trovare qualcuno che li incontra prima come persone, li fa crescere come uomini e poi li fa debuttare. Parte attiva di un modello all’avanguardia e studiato da altre squadre è Leonardo Mantovani, un avvocato romano, da otto anni dirigente del Brescia Calcio. Mantovani è arrivato a Brescia nell’anno in cui la Leonessa d’Italia accolse fra i suoi beniamini Roberto Baggio. Mantovani e Maurizio Micheli (ha scovato Hamsik, oggi è direttore sportivo del Brescia) lavoravano all’Udinese (in questo modo si spiega anche l’asse con Napoli e con Marino, al tempo ds dei friulani) prima di approdare alla corte del presidente Gino Corioni. All’Udinese hanno messo a frutto gli insegnamenti carpiti negli anni Novanta dagli olandesi, dagli inglesi e dai tedeschi, che già da tempo si muovevano sul mercato africano. Non c’erano i voli low cost, ma per risparmiare si utilizzava il Sunday rule e si cercava di vedere più partite possibili in una settimana. «Queste esperienze – sottolinea l’avvocato Mantovani – ci hanno permesso di costruire un nostro modus operandi. Abbiamo incontrato, quando ancora internet era lontano, club come il Manchester, l’Arsenal e l’Ajax che erano già attivi sul fronte africano». Un modus operandi che in Italia ha fatto e continua fare scuola. Paolo Piani, direttore responsabile del Centro studi di Coverciano, può confermare che la tesi di Mantovani, fra quelle per diventare direttore sportivo, è la più richiesta. Non sono semplici osservatori che visionano una gara e poi vanno a riferire le impressioni in società, sono dei dirigenti con capacità di spesa che dopo un accurato studio vanno in loco, osservano il giocatore, parlano con il club e soprattutto con la famiglia, avviano le procedure burocratiche e tornano con un contratto firmato. A Brescia Mantovani, Micheli e Marcello Marini hanno sviluppato, in totale collaborazione con il ds Gianluca Nani (oggi al West Ham) il progetto di scouting che in questi anni ha permesso alle rondinelle di lanciare molti campioni: Martinez, Hamsik, Caracciolo (pescato dalla serie C italiana), Zambrella, Santacroce e Mannini, solo per citarne alcuni. La lista (davvero lunga) si potrebbe allungare con altri giocatori pronti a fare il salto di qualità, fra questi spicca il nome del tedesco, di origini ugandesi, Savio. Alla base c’è una ricerca delle partite che possono interessare: i tre dirigenti fanno una sorta di calendario e muniti di ben cinque antenne paraboliche sono in grado di coprire ogni evento sportivo sul globo. «Il nostro compito è quello di anticipare i tempi rispetto ad altre squadre, soprattutto europee. Abbiamo un solo elemento per competere con gli altri club: i rapporti personali con i genitori e il giocatore. Savio, ad esempio, quando è arrivato qui da noi poteva benissimo finire anche al Chelsea e al Manchester, pensa che gli abbiamo cambiato due volte il telefono perché lo tartassavano». Avranno proposto anche ben altre cifre, ma… «Gli abbiamo fornito un contratto da professionista, ma soprattutto quando ho parlato con la madre (il padre è morto, ndr) nella sua casa di Monaco le ho garantito che se il figlio avesse dimostrato il suo valore, gli avremmo dato la possibilità di bruciare le tappe». Questo è quello che voleva, questo è quello che è successo. «La madre ci ha chiesto di stare vicino al ragazzo e di crescerlo come uomo». Contano molto i rapporti che si creano. «Al di là del ruolo che non ammette intermediari, la nostra forza è data dal carattere, dalle capacità dei singoli: siamo tre persone che collaborano appoggiandosi a un progetto». Dvd su dvd. L’ufficio di Mantovani è pieno di registrazioni catalogate per partita o per giocatore. Grazie a una collaborazione con la Digital Soccer vengono realizzati dei filmati ad hoc sui singoli giocatori. Certo molti club lo fanno già per analizzare di volta in volta la compagine avversaria, ma pochi lo fanno per scovare talenti. A Brescia ci riescono bene e lo dimostrano tutti gli affari messi a segno. «Oggi tutti i club avrebbero bisogno di un gruppo come il nostro». A Brescia c’è anche la giusta tranquillità per poter far emergere i giovani. In Italia i grandi club, come testimoniano le scelte di mercato, puntano quasi sempre sui giocatori affermati, in Europa ci sono società più lungimiranti. «Il sogno è quello far diventare il Brescia un piccolo Arsenal». I ragazzi vengono sistemati con un contratto professionistico in un agriturismo a conduzione famigliare a Montirone (una località alle porte della città). Attualmente sono in venti (di cui 12 stranieri): sono seguiti e sono accompagnati a scuola e al campo di allenamento. Pantaleo Corvino dice che gli bastano 15’ per valutare un giocatore, ma con il calcio odierno con più partite in una settimana il rendimento può risentirne e allora è meglio saper valutare tutte le condizioni in gioco. C’è in buona sostanza uno studio a monte, una capacità di intuizione. Poi in alcuni casi si devono registrare anche delle coincidenze, come quella volta con Mareco. «Mareco è qui da noi perché Maurizio (Micheli, ndr) andò a vederlo in Sudamerica. Era l’11 settembre del 2001: riuscì a prendere il volo prima del blocco delle rotte internazionali per la tragedia delle Torri Gemelle. Così l’evento infausto fece in modo che a vedere il difensore c’erano forse tre osservatori». In questo caso l’affare si concluse subito, in altri fu determinante la questione economica. «Selezioniamo Kakà, facciamo vedere le cassette anche a un entusiasta Mazzone e partiamo per San Paolo. Lì intavoliamo la trattativa con il padre-procuratore e tutto sembra andare per il verso giusto». Poi? «Si devono rinnovavano le cariche societarie e il presidente del San Paolo ci dice che avendo già venduto l’attaccante Franca al Bayer Leverkusen non può vendere anche un giovane emergente come Kakà. Avrebbe potuto giustificare la cessione solo con una cifra importante, ma a quel punto l’investimento era fuori dalla portata del Brescia». E così ad accordi praticamente fatti il giovane brasiliano finì al Milan. Il primo giocatore ad essere selezionato in Italia da Mantovani fu Appiah (in questi giorni in prova al Tottenham), che approdò all’Udinese. Il forte centrale ghanese, scartato dal Galatasaray, arrivò a diciassette anni in Italia e dimostrò il suo valore. Il rapporto creatosi con Mantovani lo portò anche a Brescia, dopo che l’epatite aveva rischiato di compromettergli la carriera. Lo stesso Mantovani lo seguì a Chicago per le cure del caso. L’attività dell’avvocato romano inizia presto su è giù per l’Africa (suo l’apporto decisivo nella firma di Dossena con il Ghana). In precedenza ha avuto il merito di portare – come primo grande colpo – Mahamadou Diarra (oggi centrale del Real Madrid) all’Ofi Creta, allora allenata dall’olandese Gerard. «Avevamo acquistato il fratello che ci disse “guardate che mio fratello è più forte”. Prendemmo così anche il fratello, che l’anno successivo si conquistò le attenzioni del Milan. Il tecnico olandese favorì, però, il Vitesse come destinazione del centrocampista del Mali». Il progetto Brescia guarda già avanti, pronto a fare un ulteriore salto di qualità, «anche perché molte squadre incominciano a imitarci». Per il momento altri si affacciano sul palcoscenico. Il prossimo nome da annotare sul taccuino è il polacco Salomon, centrocampista centrale (classe 1991, 1,90 di altezza), «un giocatore molto intelligente e dalla spiccata personalità. Dotato tecnicamente, molto bravo nel ragionare e nelle geometrie». Attenzione anche al laterale svizzero Berardi, che da attaccante si è trasformato in difensore fluidificante, guadagnandosi la fiducia di mister Sonetti. Il pubblico è pronto ad applaudirli.
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